Spente le luci, calato il sipario, l’euforia del momento migliore del Neo folk lascia obbligatoriamente il posto al tentativo, di pochi testimoni e irriducibili, di una sintesi e di una analisi, ad oggi difficile. Ultimamente emerge la necessità di riaprire questo dibattito su questo periodo di furore musicale che sostanzialmente si è consumato nell’arco di poco più di un decennio. A testimonianza di questo rinnovato interesse mi sembra doveroso citare il certosino e sempre impeccabile lavoro di Occidental Congress nel numero 4 appena pubblicato e la vivida testimonianza di Donato Novellini nell’articolo pubblicato su Barbadillo. Per quanto riguarda la bibliografia credo e sono senz’altro certo di poter affermare di essere di fronte a un vuoto pneumatico preoccupante, le uniche eccezioni riguardano i volumi dedicati a Death in June di Aldo Chimenti e l’interessante England Hidden Reverse. Volumi che aiutano a capire la genesi del Neofolk, derivazione successiva di quella incredibile scheggia impazzita che fu la musica industriale e folk apocalittico prima. Il Didascalico “Looking for Europe”, a mio parere, ha meno valore di una pagina di Wikipedia. Superato ed intimorito nelle intenzioni da una imbarazzante correttezza politica non riesce ad andare oltre il semplice elenco delle band protagoniste di quella stagione. Onde per cui, credo, sia finalmente giunto il momento di accedere con spirito analitico ai fatti prima che la memoria storica diventi storia, tralasciando così verità e accadimenti meno noti se non sconosciuti. Il Neo folk non doveva cambiare il mondo, stava semplicemente indicando l’abisso che di li a poco si sarebbe spalancato innanzi a noi. Quando non sai come guardare al presente, è nella storia che bisogna cercare le chiavi di lettura della contemporaneità. Il Neo Folk non è stato un movimento relegato solo alla musica, non è stato neanche un movimento culturale perché non ha avuto filosofi, poeti o scrittori viventi che ne hanno incarnato la filosofia. Il Neo Folk è stato una testimonianza del nostro tempo, il cui sfascio e declino ha radici nel secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle. Come giustamente evidenziato dalle fonti sopracitate dentro al neo folk c’era spazio un po’ per tutti: dal Mitraismo al Paganesimo Nordico, dal nazionalsocialismo esoterico al cristianesimo mistico e cosi via discorrendo. Una serie di contenuti e citazioni di: Evola, René Guénon, Nietzsche, Jünger, Codreanu, Mosley, Mussolini, D’Annunzio, Pound, Majakovskij, Céline, Cioran, Mishima, Crowley, Blavatsky e la lista sarebbe davvero lunga. Ascoltare un disco di Folk Apocalittico di Death in June o Current 93 o Sol Invictus costituiva un rito iniziatico. La limitata accessibilità delle fonti pre-internet aveva poi qualcosa di squisitamente esoterico e imponeva letture e ricerche tra film, libri e ulteriori rimandi a dischi precedenti e/o dimenticati. Si percepisce la necessita di costruire un corpus musicale in uno stile legato alla forma acustica. Raro, se non unico, caso nella storia della musica poi, il tributo ad alcuni pensatori della Tradizione occidentale sopra citati. Ma qual’era il collante di tutto questo movimento eterogeneo? Senz’altro il concetto di Tradizione in antitesi alla modernità (sarebbe più preciso parlare di post-modernità). Se una lista di album del Folk Apocalittico può essere propedeutica alla comprensione nel successivo movimento Neo Folk, complementare ed obbligatoria risulta la lettura di volumi come Cavalcare la Tigre e Rivolta contro il Mondo Moderno di Evola, Il Tramonto dell’Occidente di Spengler, Il Trattato del Ribelle (Der Waldgang) di Jünger, Confessioni di una Maschera di Mishima e la lista sarebbe davvero lunga… I riferimenti e linee guida tracciate dal Folk Apocalittico sono tutte li. Il Neo Folk riceve un’eredità enorme e pesantissima sulle proprie spalle e non sempre ne sarà all’altezza. Rimane comunque una visione comune dell’analisi Evoliana della musica moderna “dove forme ritmiche e sincopate, non riprese dal folclore tradizionale europeo, ma da quello afroamericano, non sembrano condurre ad aperture verso l’alto, ma in un contesto ormai desacralizzato, a regressioni, dissociazioni verso l’informe, il frenetico e l’isterico collettivo.” Il recupero della tradizione cantautoriale diventa in Europa la chiave di lettura per la comprensione del movimento Neo Folk. Sulla paternità germanica di tale movimento mi limito ad osservare che in Italia abbiamo avuto diversi gruppi che a partire dalla metà degli anni 80 ed inizi 90 si sono cimentati in una sorta di Folk Apocalittico del tutto originale e avulso da ogni stile albiònico. Credo sia doveroso ed obbligatorio citare qui Schmerz dei Kirlian Camera con Raindome o la superba Fields of Sunset od ancora altri singoli brillanti episodi come The Glory Of The Hawk dei Thelema. In questo contesto di eccezionale isolamento fatto di fanzine e volantini via fax vanno sicuramente inseriti due eccellenze italiane come Ataraxia e Camerata Mediolanense, gravitanti nell’orbita del Folk Apocalittico, ma dediti al recupero ed alla ricerca della musica tradizionale, medievale, barocca, etc.
A partire dal 1996 con l’album Mundana Humana Instrumentalis gli Argine si affacciano per primi sulla scena neo folk con un album che ha già tutte le premesse e caratteristiche di quello che sarà il Neo Folk Italiano. Impossibile non citare il successivo Luctamina in Rebus, summa opera non solo della band di Corrado Videtta ma probabilmente la più rappresentativa del genere. Del 1999 il debutto di Spiritual Front con il claustrofobico ed intimista “Song for the Will” dalle chiare reminescenze M.Gira/Swans. Ed ancora il post-industriale, folle e semplicemente Dada esperimento chiamato Mushroom’s Patience che ritorna sulle scene con un singolare album chiamato Roma, Wien (2001) coadiuvato da tanti ex e nuove leve, in primis J.Weber dei Novy Svet.
Verso la metà degli anni 2000 questa euforia musicale porta alla nascita di band altrettanto importanti come Inner Glory, Albireon (2001) Der Feuerkreiner (2002) Lupi Gladius (2003) Corde Oblique (2005), Varunna (2006), Egida Aurea (2006) Tears of Othilia (2008) ed altre realtà, oltre a quelle già celebrate ed incensate ampliamente in precedenza, attorno alle città di Napoli, Roma e Genova. I distingui con la scena tedesca vertono in primo luogo sulla temporalità del fenomeno. In Germania fiorisce e cresce con forza nella metà degli anni 90 sotto la egida della Eis und Licht e incomincia a sfiorire dal 2010 in poi, soppiantato dai soliti revival di turno come Death rock e Minimal Synth. In Italia pur iniziando con qualche anno di differenza, l’onda lunga del Neofolk andrà ben oltre esaurendosi anni dopo. In secondo luogo la differenza maggiore viene percepita nella estrema eterogeneità della proposta italiana rispetto alla forma abbastanza rigida e severa di quella teutonica. Mi sembra giusto mettere in rilievo, anche e soprattutto come testimone degli eventi qui sopra riportati, che nessuna band tedesca fra le più note ha mai suonato in Italia. A partire dagli anni 2000 tante formazioni italiane saranno invece già ospiti fissi dei tanti festival e concerti in giro per l’Europa. Un riconoscimento importante e sancito dal grande successo di pubblico. La scena tedesca nasce e vive in una propria autoreferenzialità. Con qualche rara eccezione, la scena Italiana e Tedesca rimangono le uniche rappresentati del genere. Meriterebbe una trattazione a parte, e mi propongo in separate sede di ritornare sull’argomento, cosa è rimasto ad oggi del Neo Folk, quale eredità ha lasciato, quali le influenze sui gruppi attuali, quali i contenuti. Ad oltre vent’anni di distanza dai tanti eventi e gruppi citati credo sia stato doveroso da parte mia contribuire al dibattito che sembra finalmente aprirsi. Un ringraziamento particolare va a tutte le bands protagoniste di quella formidabile stagione, ma anche alle etichette e al coraggio dei pochi giornalisti che per primi ebbero il coraggio di seguire e parlare di questa scena musicale.
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