Ciao Diego, piacere di ritrovarti nuovamente su SPQRlabel. La tua carriera musicale inizia da giovanissimo. Parlaci dei tuoi inizi e di come sei arrivato alla scena neofolk.
Diego Banchero: Ciao Vinz, è un piacere scambiare quattro chiacchiere con te e tornare a fare visita alla SPQR Label. Per rispondere alla tua domanda posso dirti di aver cominciato ad interessarmi alla musica intorno ai 10 anni, età nella quale ho seguito per circa un anno e mezzo un corso di chitarra classica da un maestro del mio quartiere. Non trovando però grossi stimoli e neanche supporto da parte dei miei familiari, mi sono stancato e ho deciso di smettere. Solo dopo i sedici/diciassette anni ho iniziato nuovamente a sentire l’esigenza di imbracciare uno strumento. In quel periodo della mia vita mi ero innamorato del metal di band come Judas Priest, Iron Maiden e Black Sabbath (solo per citarne alcune). Inizialmente pensavo di tornare a dedicarmi allo studio della chitarra, ma con l’andare del tempo è sempre più maturato in me l’amore per il basso. Avendo anche un cugino che aveva fatto del professionismo come bassista negli anni ’60, ho avuto la fortuna di poter utilizzare il suo strumento nella fase iniziale del mio percorso di studi. Fin da subito ho iniziato a studiare da autodidatta e a suonare con piccole band della località di villeggiatura dove trascorrevo i periodi di vacanza e buona parte dei weekend. Inizialmente, però, non ebbi modo di collaborare con altri ragazzi interessati al metal e mi ritrovai a suonare i generi più disparati. Questa è stata per certi versi la mia fortuna perché, da allora, sono cresciuto con una certa apertura mentale che mi ha consentito di giungere a padroneggiare più linguaggi stilistici. L’interesse per il neofolk è arrivato piuttosto in avanti nella mia carriera. Pur avendo esordito discograficamente in un ambito dark-prog e dark-sound, ero interessato a tutte le correnti musicali che, partendo dal punk, avevano contribuito a elaborare delle sonorità gotiche e noir. Attorno alla fine del secolo scorso i progetti di cui avevo fatto parte stavano attraversando una certa crisi motivazionale. Si aveva come l’impressione di essersi infilati in una sorta di nicchia dalla quale era anche difficile dare un contributo culturale all’umanità grazie alla nostra arte. Si percepiva una sensazione di immobilismo. Come compositore stavo attraversando un momento particolare, perché sentivo l’esigenza di perseguire livelli di sintesi che non si addicevano al prog. Era anche un momento in cui ascoltavo con molto interesse musica popolare e cantautorato. Tutto questo predisponeva a sperimentare un nuovo approccio che partisse dalla lezione di band come i Death in June, Der Blutharsh, Orplid, Sol Invictus, Current 93, ecc., per sviluppare un mio modo personale che incorporasse gli stilemi compositivi tipici della tradizione musicale italiana. Cosi sono partito e ho scritto le prime composizioni che mi hanno permesso di entrare in questa scena (che in quel periodo era piccola, ma particolarmente vitale e che soprattutto rappresentava un fenomeno di protesta, o se vogliamo di resistenza culturale, ad un mondo che stava chiaramente scivolando verso la decadenza che ha portato ai sempre più drammatici risvolti che abbiamo vissuto in questi anni).
La fondazione dei ben più noti passa per i poco noti Recondita Stirpe. Raccontaci i due concept che hanno portato alla luce questi due progetti diversi tra loro.
Diego Banchero: Ho iniziato a scrivere il materiale che è confluito nel mini di esordio di Recondita Stirpe agli inizi del nuovo millennio. Ci furono varie evoluzioni su quelle musiche, ed ebbi una certa difficoltà a radunare attorno a me una band stabile. Ci furono anche vari cambiamenti radicali di line-up in quella fase. La mia intenzione era quella di non avvalermi dei musicisti con cui avevo collaborato in passato, ma di affrontare quella nuova avventura con persone nuove, anche alle prime armi, ma caratterizzate da quell’entusiasmo di cui avevo sentito la mancanza negli anni precedenti. Buona parte delle tracce strumentali di quel disco furono affidate a suoni di sintesi (comprese la tromba, le percussioni e la fisarmonica). Fino ad allora io mi ero dedicato unicamente alla composizione della musiche ed anche in questo caso la scrittura dei testi fu affidata ad un mio conoscente (Fabio Nicolazzo alias Christoff) che ricoprì anche il ruolo di cantante assieme a Carolina Cecchinato. Terminato il mastering, mandai in giro il demo per cercare una casa discografica interessata. Risposero alcune label che all’epoca erano piuttosto attive e tra di esse scelsi di affidarmi nelle mani della Misty Circles Rec di Claudedi (noto anche per essere un membro degli Ain Soph e dei Circus Joy). Venne stampata una produzione piuttosto limitata in CDR che ebbe un buonissimo riscontro e che fu successivamente ristampata. Dopo un po’ di tempo decidemmo che era giunto il momento di lavorare a qualcosa di più corposo e componemmo musiche e testi del primo full lenght che fu realizzato molto velocemente e preceduto da una prima uscita live. La band si era nel frattempo ingrandita con l’ingresso di un batterista, un percussionista, un fisarmonicista, un trombettista e un secondo chitarrista. L’artigianalità dei mezzi di produzione (affidati al mio piccolo home studio) resero molto tortuoso il lavoro, ma questo album permise di consolidare la nostra presenza nella realtà italiana di questo genere edi entrare nella label Hau RuckSPQR di cui Misty Circles era un satellite.
Storia di una Rondine rimane un debutto leggendario, una pietra miliare del neo folk italiano seguito dall’importante debutto de La mia piccola guerra. Vuoi raccontarci la genesi di questi due lavori?
Diego Banchero: In quel periodo ero molto motivato a scrivere musica, ma non ero ancora riuscito a creare una squadra che stesse al passo con questa mia urgenza espressiva. Sfruttando l’occasione della richiesta di partecipare ad una raccolta organizzata da un’altra etichetta, coniai il nome Egida Aurea per non usare il nome Recondita Stirpe che aveva vincoli contrattuali con Hau Ruck SPQR. Ero in difficoltà a condividere la composizione con altre persone che non riuscivano a mantenere un ritmo di lavoro che seguisse i miei standard e decisi di cimentarmi per la prima volta nella scrittura dei testi. Il primo brano che scrissi fu, per l’appunto, la title track del mini CD. A seguirmi in quella avventura ci fu parte della band Recondita Stirpe: quelli che mi sembravano maggiormente coinvolti. Registrammo con i soliti modi artigianali il mini cd che fu prodotto da Wolf Age Records. Il disco ebbe un buonissimo successo, ma soprattutto si ebbe impressione di aver trovato un giusto equilibrio per proseguire. Successivamente iniziai a scrivere il materiale per il primo album intero (La mia Piccola Guerra), coadiuvato dall’allora percussionista che si occupò anche di qualche testo, ma che abbandonò il progetto poco dopo. Nel frattempo la band aveva iniziato ad esibirsi live. Ci furono successivi adattamenti della line up fino a giungere alla formazione che portò avanti Egida Aurea per tutto il resto della sua attività, ovvero: Carolina Cecchinato, Marina Larcher, Fernando Cherchi, Roberto Lucanato, Davide Bruzzi oltre ovviamente al sottoscritto. Il disco piaccue molto e anche la produzione era sensibilmente migliorata grazie alla maggior efficienza che il mio studio aveva progressivamente raggiunto.
Parigi, Lipsia e tanti altri concerti quale il più emozionante secondo te?
Egida Aurea ha avuto tante soddisfazioni, ma le due date che hai ricordato sono state le più emozionanti. In quella di Lipsia ci siamo resi conto, forse per la prima volta in maniera chiara, della dimensione del pubblicoche ci amava. Ottenemmo un’accoglienza davvero calorosa. Il Felsenkeller era gremito di persone che cantavano le nostre canzoni. Parigi, per altri versi, è stata una data molto bella che ci ha permesso anche di realizzare un live che tutt’ora mi rende molto orgoglioso di quanto eravamo riusciti a creare in quel momento.
Derive è l’album della maturità ma segna anche la fine del progetto. È anche un punto di rinascita grazie al ritorno del tuo primo progetto Il Segno del Comando.
Diego Banchero: La fine di Egida Aurea è arrivata anche a causa di una crisi che, purtroppo, era già presente da tempo ed ha portato progressivamente alla conclusione della mia relazione sentimentale con la cantante Carolina Cecchinato. Il disco live a Parigi, di cui abbiamo fatto accenno poco fa, è stato pubblicato postumo. Avrei benissimo potuto continuare e restare in questa scena con altri progetti o con altri compagni di viaggio, ma l’aria che si respirava in essa era davvero soffocante (intendo soprattutto in Italia perché altrove non si giunse ad un livello di bassezza come nel nostro paese) e così decisi di procedere su altre strade. Avevo affrontato questa avventura da musicista fatto e finito, sperando di dare un contributo ad una causa che ritenevo essere più importante degli individualismi. Mi aspettavo di trovare un gruppo allargato di persone che combattevano unite contro un mondo avverso e lanciato verso un impoverimento programmato globale, ma fin dalle prime fasi dell’avvio di Egida Aurea, è stato necessario dedicare eccessivo tempo a difendersi da attacchi provenienti dall’interno della scena stessa; d`altronde la maggior parte dei progetti che pubblicavano dischi in questa scena era formata da “non musicisti” erosi dal proprio senso di incompletezza e dai dubbi sulla loro efficacia. Più che dimostrare superiorità sul campo ci si dedicava a danneggiare gli altri. Si è cercato di ignorare questi attacchi, ma alla fine è diventato impossibile non difendersi. Vi erano, poi, eccessivi attaccamenti a fatti estetici (come suggestioni delle guerre novecentesche) e si ignoravano spunti tematici che avrebbero davvero potuto portare il dibattito in un terreno fertile a creare un movimento che imponesse i propri valori culturali. Molti giornalisti erano addirittura bravissimi nella “cancel culture” che oggi si critica molto nella stampa mainstream. Se pensi che ancora oggi c’è chi nega che Egida Aurea sia mai esistita puoi farti un’idea sulla faziosità di alcuni personaggi. Altre persone ossessionate dall’idea di smascherare il fascista o il comunista di turno (altra tendenza che fa comodissimo alle elite per tenere i coglioni impegnati in guerre che impediscono di comprendere davvero chi sia il nemico che sta a poco a poco depauperando ogni spazio vitale per imporre tutt’altro). Fortunatamente ho conosciuto in quegli anni anche tante persone ottime alle quali resto ancora legato da un punto di vista affettivo. Derive è stato sicuramente un punto d’arrivo molto importante per la band. Contiene composizioni che mi piacciono molto e resta comunque nel mio cuore. Come per gli album precedenti, in esso si cercò di analizzare molti fenomeni che partendo dagli anni ’30 si sono manifestati fino ad un decennio fa, indipendente dagli attori che li portassero avanti (leggi rossi, bianchi,verdi, o multicolor), ma sempre con l’obiettivo di capire dove si fosse interrotta la capacità del popolo italiano di reagire a certe imposizioni dannose calate dall’alto.Torno ai giorni nostri, scusandomi per la divagazione, per dire che Il Segno del Comando è un progetto apprezzato sia nella scena prog che nella scena metal. In questi anni ho anche suonato blues, jazz, rock e altri generi musicali. Ho avuto ottimi riscontri internazionali e sto continuando a procedere, nel mio piccolo, verso una situazione di crescita e prosperità. Ho capito, dall’esperienza precedente anche un’altra cosaimportante: per me la musica deve restare espressione dei miei percorsi di crescita interiore (cosa che consiglio di mettere al primo posto anche a coloro che si prendono la briga di esprimere pareri e soluzioni di natura politica, filosofica e morale agli altri pur non avendo alcuna solidità interna).
So che continui a seguire con interesse la scena neofolk e vorrei avere un tuo parere sulla situazione musicale attuale.
A dire la verità mi sono perso gli ultimi sviluppi di questa scena. Gli impegni sono tantissimi e non ho tanto tempo libero da dedicare a seguirne i movimenti.Da quello che vedo in giro, però, la vitalità che ha caratterizzato la scena neofolk negli anni della mia permanenza in essa è molto diminuita. Non vedo particolari movimenti a riguardo. Ormai tutto è rimasto nelle mani di pochi coraggiosi che cercano di pubblicare ancora dei dischi. Ovviamente all’estero le cose si sono logorate meno rapidamente perché non erano immerse nella causticità che caratterizzava il nostro paese. L’Italia, purtroppo, da questo punto di vista non ha saputo dare un contributo stabile e nel frattempo ci sono stati degli stravolgimenti sociali nei quali questa scena avrebbe potuto incidere se non si fosse, nel frattempo, autoeliminata.
Uno sguardo al futuro e ai tuoi progetti in cantiere.
Ho in cantiere alcuni lavori con Il Segno del Comando che sta lavorando a due split album: il primo con la band genovese Expiatoria e il secondo con il Ballo delle Castagne (progetto che non ho citato prima, ma che ringrazio di avermi riportato, nel primo decennio del secolo in corso, sulle coordinate del rock progressivo). Appena possibile inizieremo anche a lavorare su un prossimo album. Sto pubblicando il primo disco di un progetto a mio nome: Diego Banchero Trio, che è in procinto di essere mandato in stampa. Ho realizzato altri album con miei amici che spero vedranno la luce entro prossimi due anni. Infine la mia attività solistica continuerà anche in altre direzioni. Oltre a quello del trio, pubblicherò un disco con un quartetto elettrico e un altro album sul quale sto lavorando assieme al mio fedele compagnodi avventure Davide Bruzzi (già chitarrista degli Egida Aurea). Ho una band tributo alla musica horror, lavoro come turnista in alcuni progetti e ho ripreso ad insegnare. Orami è invece conclusa la mia attività di sound engineer a causa di problemi ad un orecchio che con il tempo si sono, purtroppo, manifestati.
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